Gli Autori

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Il Glorioso TERZO

 

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SASSARI - «Fate saltare il ponte». L' ordine veniva dal comando supremo. E un colonnello stava per far brillare le mine, quando uno squillo di tromba annunciò l' arrivo di un reparto: nell' incredibile confusione della rotta dopo Caporetto sul ponte della Priula - l' ultimo rimasto aperto sul Piave dopo che gli altri erano stati distrutti per evitare che l' esercito austriaco dilagasse verso la pianura - fra soldati sbandati, civili in fuga, carri e animali, apparve un plotone in perfetto assetto da combattimento. Lo comandava un giovane ufficiale, piccolo e impettito, che dava ordini rapidi e secchi e di tanto in tanto imbracciava un fucile ' 91 per rispondere al fuoco che veniva dai lati. Il plotone passò, subito dopo il ponte della Priula venne fatto saltare e quel 9 novembre 1917 Giuseppe Musinu, il giovane ufficiale, fu l' ultimo soldato italiano a passare il Piave dopo aver condotto in salvo i suoi uomini. Meno di un anno dopo lo stesso ufficiale fu uno dei primi a ritornare sull' altra sponda all' inizio della controffensiva che precedette Vittorio Veneto. E' una delle innumerevoli storie vere della Brigata Sassari, il più decorato fra i reparti dell' esercito italiano, quello che ha avuto il più alto numero di morti e dispersi (in rapporto agli effettivi) nella Grande Guerra. Sei ordini militari d' Italia, 9 medaglie d' oro, 405 d' argento, 551 di bronzo, il primo citato sul bollettino del comando supremo (in totale 4 citazioni). Giuseppe Musinu era con Emilio Lussu uno degli ufficiali più coraggiosi e amati, schivo, riservato: ferito 5 volte, decine di azioni che gli sono valse la fama d' eroe, promozioni guadagnate sul campo, a 26 anni era il più giovane maggiore dell' esercito. Musinu era il simbolo della Brigata, partecipava a tutte le cerimonie, carico d' anni e di medaglie: è morto che ne aveva 101 nel 1992, generale di corpo d' armata, 28 medaglie al valore. Come Musinu centinaia di eroi senza nome: li

chiamavano «Diavoli Rossi» e ancora oggi l' inno della Brigata s' intitola «Dimònios» (Diavoli); con un coltello affilatissimo (la leppa pattadese) innestato al posto della baionetta andavano all' assalto verso le trincee nemiche. Oppure innescavano le micce degli esplosivi (cortissime per sorprendere gli austriaci) con il sigaro che fumavano a fogu aintru (col fuoco dentro la bocca) per non essere individuati nella notte dai cecchini. O ancora, per evitare agguati le vedette avevano l' ordine al «chi va là» di sparare su chiunque non rispondesse in sardo: fra gli austriaci c' erano sudtirolesi e parlavano anche in italiano. «Si sese italianu faedda in sardu» (Se sei un italiano parla in sardo). La Brigata Sassari veniva inviata al fronte ovunque ci fosse una situazione disperata. La compagnia del capitano Emilio Lussu venne circondata da forze soverchianti. I Diavoli Rossi si difesero fino ad esaurire le munizioni. E tentarono ugualmente una sortita: si raccolsero intorno al capitano e fecero un quadrato. In una serie di assalti all' arma bianca riuscirono a rompere l' accerchiamento trascinandosi dietro un centinaio di prigionieri. Laconico, Lussu: «Abbiamo soltanto fatto il nostro dovere». Il caporale Raimondo Scintu era dato per disperso, andato da solo all' assalto di una trincea austriaca: ritornò, sempre solo, ma con 47 prigionieri; promosso all' istante aiutante di campo, medaglia d' oro. Ma la storia della Brigata Sassari non è solo legata alle epopee di Bosco Cappuccio, al Carso e alla Grande Guerra. Dopo la campagna di Libia (un battaglione di mitraglieri) dal 1920 fu trasferita a Trieste e tenuta un po' ai margini, integrata in altri reparti, forse perché gran parte dei combattenti aveva aderito al Partito Sardo d' Azione fondato da Emilio Lussu, con forti connotati antifascisti. Nella seconda guerra mondiale operò in Jugoslavia fino al 1943, anche a protezione delle minoranze serbe decimate dagli ustascia croati filotedeschi in uno scontro etnico riesploso più di 50 anni dopo. Una guerra crudele, con violenze, esecuzioni di massa e atrocità, stragi di civili innocenti. Un reduce della Brigata, Gesuino Cauli, ha ricordato pochi anni fa: «Non auguro a nessuno di provare quello che abbiamo visto e provato noi. Ho detto sempre: voglio morire prima di vedere un' altra guerra così. E invece la sto vedendo tutti i giorni in televisione». Il maresciallo Antonio Pinna è il direttore del museo storico della Brigata Sassari, che raccoglie testimonianze e cimeli: «Quando siamo ritornati nei Balcani come forza di pace, abbiamo trovato le famiglie dei reduci delle due guerre mondiali, gente che aveva combattuto dall' altra parte ma conservava rispetto per i nostri». Ricostituita nel 1988, la Brigata non è solo tradizione. Il grido di guerra «Forza Paris» (Avanti insieme) è rimasto uguale, scandito da reclute e ufficiali insieme con l' inno dei Diavoli Rossi. Però la banda, nell' attesa dei capi di stato maggiore, ieri ha suonato con sorprendente scanzonatura Ufo Robot, ' O Sole mio (tributo al caldo implacabile) e persino un applaudito cameratesco «L' unico frutto dell' amor è la banana». I tempi cambiano. Schierato alla destra del contingente un plotone, quasi tutte donne, 14, mitraglietta sottobraccio, qualcuna con un' ombra di rossetto: tutte avrebbero voluto partire per la Macedonia, ma alla fine del corso di addestramento mancano ancora due mesi. Sarà per la prossima missione.
                                                                                                        ALBERTO PINNA
Pagina 13 del Corriere della Sera del 25 agosto 2001

ALBERTO PINNA

STORIE DELLA GRANDE GUERRA   E nella notte fumavano il sigaro «col fuoco in bocca». Furono gli ultimi a ritirarsi sul Piave, poi fecero saltare il ponte

DALL'ARCHIVIO DEL CORRIERE DELLA SERA  25 AGOSTO 2001

Il Generale di Corpo d'Armata Giuseppe Musinu il 28 Gennaio 1988 alla Festa di Corpo della Brigata Sassari

Il Maggiore Giuseppe Musinu nel 1918

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Sa mezzus gioventude

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