di SERGIO IEVOLI*

* Sergio Ievoli, all'epoca Sottotenente del X Battaglione "Bezzecca", dopo aver trovato sulla Pagina Facebook del nostro giornale le foto della commemorazione dei bersaglieri vittime della strada, pubblicate nel 2012, rivive quel tragico venerdì 26 novembre 1976,  quando  un’auto piomba su un gruppo di bersaglieri del X  che stanno tornando nella Caserma "Salvatore Pisano", dopo una marcia e fa una strage. Cinque militari muoiono, altri 13 restano gravemente feriti. A perdere la vita sono il Sottotenente Michele Raffa,  il Caporale Fabrizio Righini e i Bersaglieri Ercole Quinto, Giancarlo Pavan e Ciro Dercenno: a 42 anni di distanza Ievoli li ricorda così.


Avere vent’anni, l'alba della vita. Anni spensierati in cui fioriscono sogni, speranze, ambizioni, voglia di vivere. Non ricordo Michele quanti anni avesse di preciso, ma sicuramente poco più di venti. Ciro, Fabrizio, Giancarlo, Ercole altrettanti. Il tempo ha oramai cancellato i tratti del loro viso, ma non il loro ricordo. Io e Michele eravamo partiti dalla Scuola per Allievi Ufficiali di Cesano di Roma ed eravamo stati destinati a Solbiate Olona, una manciata di chilometri più a nord di Busto Arsizio nella Caserma ‘Ugo Mara’, X Battaglione Bezzecca, Compagnia Fucilieri Assaltatori. Sembra ieri.
La ‘baraggia’, gli addestramenti, i salti mortali nell’anello di fuoco, il ‘cacciacarri’, l’alza bandiera e i nostri due plotoni. Giornate infinite e dure. Eravamo tutti napoletani e siciliani. I napoletani dei due plotoni, naturalmente, facevano riferimento a me, i siciliani a Michele. Io e lui dividevamo lo stesso alloggio, operavamo nella stessa compagnia e ci dividevamo i turni di servizio. Michele era prossimo al matrimonio ed era vicepreside di una scuola media di Avola, a sud di Siracusa verso la punta estrema della Sicilia. Un autentico signore nei modi e nei sentimenti. Dopo qualche mese era cambiato il comandante di Compagnia e il nuovo capitano, nativo di Casagiove (cittadina divisa da Caserta dal Parco Reale), ci aveva convocato in ufficio. "Sottotenente Ievoli, poiché sei di Caserta voglio dimostrare che non faccio preferenze per i paesani. Vai in licenza e al ritorno vieni con me al campo di addestramento di Capo Teulada. Sottotenente Raffa, so che non vai a casa da molto tempo, per cui quando noi saremo in Sardegna tu andrai avrai una lunga licenza". E così fu.
Ma il ritorno dalla licenza per me fu molto diverso. Il destino dimostrò tutta la sua forza e fece capire quanto valore avessero le porte girevoli della vita. Come in Sliding doors, il film di fine anni '90 che trattava il tema del destino, dei suoi punti di biforcazione.
Scelte e momenti che diventano crocevia delle esistenze.
All’epoca il treno che da Milano portava a Busto arrivava alle sette, giusto in tempo per l’alzabandiera. Ma quel giorno per me il destino decise di cambiare rotta alla mia vita. Sentimmo bussare alla porta dell’alloggio. Era l'amico e Tenente Mimmo Scarcella, Comandante della Compagnia Mortai e figlio del Generale di Corpo d’Armata, uno che in caserma era sempre stato considerato un personaggio colorito,  ma molto autorevole. Girava con una Triumph Spitfire cabrio verde, aveva capelli più lunghi della media ed era amico di tutti. Quella fatidica mattina si presentò alla mia porta: "Sergio, su disposizione del Comandante di Battaglione, da oggi sei trasferito alla mia Compagnia perché ho carenza di personale". "Grazie Mimmo per il pensiero - risposi sorpreso ed incuriosito - ma ho un patto con il mio amico e collega Michele Raffa. Torno ora dalla licenza e domani parto per Capo Teulada. E poi non dimenticare che la mia specializzazione è ‘Fuciliere assaltatore’, quindi di Mortai non capisco nulla e potrei essere poco d'aiuto. Al massimo, aspetta che rientri dalla Sardegna e ne parliamo meglio". Al mio rifiuto, Mimmo tolse le vesti dell'amico ed indossò quelle del Comandante e volle dimostrare la sua autorevolezza: "Questa decisione è già presa: da oggi tu sei nella mia compagnia. Anzi dimmi subito quando vuoi andare a casa perché così mi organizzo con la mia licenza".


   
MICHELE RAFFA SEDUTO, ALLA SUA SINISTRA  SERGIO IEVOLI

Un ordine è un ordine. Michele, col suo immancabile garbo, aveva ascoltato la conversazione senza intervenire e, appena Mimmo aveva lasciato l’alloggio, mi aveva spinto ad accettare la proposta, pur sapendo che in questo modo avrebbe dovuto rinunciare alla sua di licenza e sarebbe dovuto andare in Sardegna. Era già molto tempo che non andava a casa, dove lo attendevano i familiari e la sua futura moglie, che avevo avuto la fortuna di conoscere qualche tempo prima. E così andò. Michele e il Comandante della Compagnia Fucilieri partirono per Capo Teulada, io rimasi a Solbiate Olona a occuparmi della Compagnia Mortai.
Il 26 novembre 1976 lo ricordo bene. Era venerdì ed ero in Caserma ad aspettare che la settimana finisse. La corsa di Battaglione era stata sospesa perché la maggior parte dei Bersaglieri era in Sardegna e il giorno dopo, come spesso capitava, sarei andato a Milano per un giro, o più probabilmente sul Lago di Como, dove amavo spesso recarmi. Intorno alle 18 o forse le 19, una convocazione urgente all’Ufficio Comando ci colse nell'immancabile torneo di calciobalilla al Circolo Ufficiali. Perché a quest'ora? Che sarà successo? Un Ufficiale, visibilmente commosso e in piena confusione, mi comunicava che sulla strada che da Capo Teulada portava a un ‘nuraghe’ poco distante, era accaduto un grave incidente.
Chi è stato Bersagliere lo sa bene, non può meravigliarsi. Capitava sempre, dopo una settimana o una giornata di intense esercitazioni, che qualche tremendo e severo Capitano non sopportasse che un plotone riposasse fuori la mensa senza fare nulla. I Bersaglieri devono correre sempre o in alternativa non stare fermi. E così sarà andata: "Sten. Raffa non è possibile far poltrire i Bersaglieri. Prenda i due plotoni e li porti a visitare il nuraghe poco distante da qui. Vi aspettiamo per il rancio serale. Sono pochi chilometri. Marsch!!!".
Non ricordo se andavano o tornavano, e magari erano riusciti a raggiungere questa costruzione preistorica in pietra tipica del territorio sardo. Ma i ragazzi, in fila indiana, erano sicuramente condotti da Michele, in testa con la sua andatura cadenzata. Quando una compagnia di giovani arrivava in un paese di poche anime come Capo Teulada, tranquillo e con poca vita, dava sicuramente una scossa all’ambiente. E capitava che qualche sera al bar, colpa anche di una birra in più, potesse volare un apprezzamento più particolare su qualche ragazza del luogo e nascessero discussioni e battibecchi. E così era successo la sera prima di quel terribile 26 novembre. Qualche militare con un pizzico di euforia in più aveva avuto un forte alterco proprio con un meccanico ventiduenne, Paolo Ledda, ma la discussione, prima molto veemente, si era risolta senza ulteriori complicazioni.
Il giorno dopo, la fila indiana di Bersaglieri era aperta proprio da Michele, subito dopo il Sten. medico e quindi gli altri. "Signor tenente, Lei va molto piano, non ha il passo del Bersagliere", qualcuno scherzava anche per mantenere alto il morale. "Ora le faccio vedere io come cammina un bersagliere". E guadagnava la testa della fila con fare spavaldo e figura imponente. Il destino però aveva voluto che dall'altra parte della strada, sopraggiungesse un’Alfa GT, guidata proprio da Paolo Ledda che, riconosciuto qualche Bersagliere col quale aveva avuto l’accesa discussione la sera prima, aveva pensato di intimorirlo. Per vendicarsi pensò a uno scatto al volante per poi rientrare lungo la carreggiata, prima della fila dei Bersaglieri. I primi videro il sardo alla guida piombargli addosso, si girarono e gridarono per far spostare chi seguiva. L’Alfa GT passò sui piedi dei primi due e poi prese in pieno Michele Raffa, Ciro Dercenno, Fabrizio Righini, Giancarlo Pavan, Ercole Quinto. Cinque militari morirono sul colpo. Altri tredici caddero come birilli, gravemente feriti, mentre l’auto del Ledda finì la sua folle corsa nel fossato opposto. Le auto che sopraggiunsero prestarono i primi soccorsi. Ma la tragedia si era già consumata.
Poche ore più tardi, nella Caserma ‘Ugo Mara’, lacrime e confusione regnavano sovrane e le urla di disperazione straziavano il silenzio della serata. Era venerdì e con i mezzi telefonici dell’epoca era difficile capire subito le dinamiche dell'incidente, il nome dei ragazzi coinvolti, chi fosse vivo e chi non c'era già più. Molti in caserma erano in licenza e nell’Ufficio Comando toccò a un giovanissimo sottotenente di complemento, anche lui ventenne, l'ingrato compito di dare la notizia ai parenti dei Bersaglieri caduti a Capo Teulada. La notte trascorse così. Molte famiglie ricevettero telefonate confuse e imprecise. Addirittura una di esse ricevette per un tragico errore la notizia della morte del proprio figlio, salvo poi smentirla mezz'ora dopo: i carabinieri di Capo Teulada avevano sbagliato cognome. Sento ancora oggi nelle mie orecchie, le urla di gioia e di sollievo della famiglia.
Anche tra i Bersaglieri la situazione era diventata preoccupante: sia in Sardegna, dove un gruppo di loro aveva cercato di raggiungere l’ospedale per farsi giustizia del delinquente (solo dopo lunghe trattative furono fatti rientrare in caserma); e sia a Solbiate, dove fu convocata un'assemblea da coloro che erano rimasti alla ‘Ugo Mara’ e avevano visto partire i loro compagni e amici per l'ultima volta.
Furono momenti difficili. La parola ‘diserzione’ era la più pronunciata.
Tra i pochi Ufficiali presenti in Caserma, io fui delegato a partecipare a quell'assemblea. La calma e la ragione faticavano a ristabilirsi, mentre rimaneva forte il sentimento di rabbia: nessuno riusciva a comprendere come potesse essere successo, molti imprecavano contro chi aveva obbligato a fare quella drammatica e fatale passeggiata. L'atmosfera tornò più quieta quando, la mattina seguente, il Battaglione si organizzò per i funerali. Furono scelti dieci bersaglieri per il picchetto d’onore, con me a capo. Poi il lungo viaggio per raggiungere Avola con partenza Busto Arsizio, un calvario lungo oltre ventiquattro ore di treno. Quando finalmente in tarda serata giungemmo ad Avola, fu molto complicato trovare qualcuno o un passante che ci indicasse la locale caserma dei Carabinieri. Trovata la caserma, l'unico Appuntato di turno in notturna, caduto dalla branda inconsapevole di tutto, non poté far altro con fare gentile che indicarci l’albergo per la notte.
La mattina successiva ci recammo in chiesa per il picchetto d’onore. La salma di Michele fu portata in spalla dai suoi Bersaglieri e appena fu deposta sull’altare una ragazza in preda alla disperazione mi strattonò veemente e urlò: "Perché tu sei qui e lui non c’è più?". Era la sua giovane promessa sposa che non mi aveva riconosciuto, ma reagiva al dolore aggrappandosi alla divisa del primo militare incontrato, quella divisa che aveva con onore indossato anche il suo fidanzato. A quel punto crollai. Lasciai il picchetto e l’altare per rintanarmi in un angolo lontano della chiesa e sfogare la mia disperazione. Ho solo questo ricordo della funzione funebre. Alcune ore più tardi, ci recammo a visitare i genitori e le sorelle, ricordo ancora l'abbraccio lungo e commosso dell’anziano padre.
Negli anni successivi in altre due occasioni sono andato ad Avola sulla tomba di Michele. La prima volta due anni dopo il congedo, io e altri due colleghi sottotenenti tornammo a far visita alla sua famiglia. La seconda volta invece una ventina di anni dopo quel tragico giorno. Ero in vacanza in provincia di Catania e il mio pensiero corse ad Avola e a Michele. Volli andare a trovarlo, e così feci. Non ricordavo di preciso il posto dove era stato sepolto e mi venne in mente di chiedere all’Ufficio Anagrafe del Comune, magari sfruttando il fatto che da ‘collega’ casertano dell'ente avrebbero avuto un occhio di riguardo. Fui accolto con affetto, fatto accomodare e quando spiegai chi cercavo, uno sguardo commosso mi rispose: "Michele Raffa? E’ stato mio compagno di scuola. Ti accompagno io!".
Non so dove siano sepolti gli altri ragazzi protagonisti di quella terribile tragedia, accomunati nel fiore degli anni a Michele da un destino beffardo e malvagio. Mi è capitato spesso, nel tempo, di pensare alle porte scorrevoli della vita, a quanto momenti che sembrano trascurabili decidano involontariamente un'intera esistenza. Per questo motivo Michele e quei ragazzi morti a Capo Teulada rimangono, anche a distanza di decenni, l'insegnamento migliore per ricordarlo e ricordare loro.
                                                                                                                                    SERGIO IEVOLI
CASERTA, 14 MAGGIO 2018.

CAPO TEULADA, 26 NOVEMBRE 2012 - I Bersaglieri del 3° Reggimento hanno ricordato i loro commilitoni del X Battaglione "Bezzecca" travolti e uccisi da un'auto il 26 Novembre 1976 mentre percorrevano a piedi la strada che costeggia il poligono dov'erano in addestramento. Nelle foto, alcune fasi della cerimonia e la deposizione di corone, benedette dai Cappellani militari Don Giancarlo Caria (3° Bersaglieri) e Don Giuseppe Ganciu (in addestramento con i suoi Alpini) sul cippo dedicato alla memoria del Sottotenente Michele Raffa, del Caporale Fabrizio Righini e dei Bersaglieri Ercole Quinto, Giancarlo Pavan e Ciro Dercenno. Il cippo che ricorda i bersaglieri vittime della strada è affidato alle cure del Glorioso Terzo dal momento del suo trasferimento nell'Isola, il 1 Dicembre 2009. (FOTO DEL 1° MARESCIALLO LUOGOTENENTE SEBASTIANO SOGGIU - 3° BERSAGLIERI).

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