Il libro di Maurizio Sulig, pubblicato ad aprile 2017 e presentato a Cagliari e a Sassari lo scorso giugno, propone un’attenta riflessione sul mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se stesso. Il giornalista e scrittore Carlo Figari* partendo da una panoramica sull’attuale momento storico illustra, per il nostro giornale online, il pamphlet di Sulig, vice comandante della Brigata SASSARI dal 2009 al 2014, che affronta senza reticenze il discorso sul presente e futuro dell’Esercito italiano. Una voce fuori dal coro della pubblicistica ufficiale e specialistica, quella di Sulig, che non teme di andare controcorrente. L’occasione per approfondire la discussione sui grandi cambiamenti in atto nello scenario nazionale e internazionale e, soprattutto, sul significato di essere militari oggi in un paese come l’Italia.


 presentazione del libro a cagliari, sede della fondazione di sardegna. carlo figari a colloquio con maurizio sulig
 nel riquadro l'autore di "soldati tra la polvere",  maurizio sulig, e il direttore di "con la brigata sassari", paolo vacca

UN MONDO IN EBOLLIZIONE

Amore e odio. Storia e mito. Patria e onore. Sono questi i sentimenti che l’Esercito ispira in ogni italiano, pronto a elogiare i nostri militari salutandoli come eroi e invocandone l’intervento per risolvere ogni problema, ma altrettanto rapido a cambiare parere secondo il periodo e l’ideologia. Si applaude all’intervento per missioni di pace all’estero e di sicurezza interna in chiave antiterroristica e contro la criminalità urbana (anche se non è questo il compito istituzionale), ma quelle stesse voci si uniscono ai cori antimilitaristi, alle richieste di tagliare i fondi per le Forze Armate (meno missili, aerei, navi e più soldi per salute e welfare) e alle manifestazioni per chiudere poligoni, basi e caserme. Dall’ultimo dopoguerra ad oggi il rapporto tra italiani ed Esercito è vissuto su queste contraddizioni, con una classe politica ambigua e ondivaga più attenta a cavalcare gli umori del momento che alle necessità contingenti dettate dalle strategie mondiali e dai bilanci dello Stato, e alle situazioni storiche in costante evoluzione.
Il vecchio Esercito e le vecchie Forze Armate nel complesso, così come erano nate con la Repubblica sugli ideali della Resistenza e del nuovo paese libero e democratico, non esistono più, se non nella Carta istituzionale, essendo cambiata l’Italia ma, soprattutto, il mondo con gli scenari politici e strategici che oggi conosciamo, quali la lotta al terrorismo fondamentalista, i pericoli del nucleare in mano a potenze minacciose e incontrollabili come la Corea del Nord, le guerre infinite in Afghanistan, Iraq, Medio Oriente, Africa settentrionale e Maghrebina, e la ridistribuzione delle alleanze internazionali. Oggi personaggi come il presidente Trump e il nuovo “zar” Putin hanno fatto saltare il tavolo dei vecchi equilibri stabilitisi nel Terzo millennio sulle ceneri dell’ex Urss e della divisione del mondo tra i due blocchi, quello Atlantico con gli Usa al vertice degli alleati europei e della Nato e dall’altra il blocco dei paesi dell’Est sotto l’egemonia di Mosca. L’America di Trump se ne va per proprio conto con una inedita politica isolazionista, l’Europa sta ancora cercando una nuova autonomia continentale con una Nato ridimensionata e l’esigenza di impegno crescente nel Mediterraneo occidentale, la Russia ritrova il suo spirito imperialista, mentre emergono le altre superportenze planetarie come la Cina e l’India, a cui si accodano le mire di Iran e dei ricchi Paesi arabi. Insomma, un gran calderone brucia sotto i piedi del mondo e tutti ci domandiamo cosa ci attende per il prossimo decennio.


soldati  italiani e bimbi afghani

LA SARDEGNA E LE STELLETTE

Ebbene, in questo contesto si inserisce la riflessione sulle nostre Forze Armate e sull’Esercito chiamato a muoversi e ad affrontare i nuovi scenari. Nel nostro piccolo della Sardegna possiamo vedere lo specchio di un dibattito mai finito che si alimenta proprio sulle contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio. Così vediamo esaltare il mito della Brigata SASSARI, oggi chiamata ad operare con i suoi uomini nelle missioni all’estero che, insieme alle altre Armi, costituisce la più importante industria dell’Isola, distribuendo oltre diecimila buste paga tra militari e indotto. E nello stesso tempo assistiamo a continue manifestazioni antimilitariste per chiudere i poligoni di Teulada e Perdasdefogu. Vogliamo cacciare le stellette dal nostro territorio, ma quando se ne vanno - come a La Maddalena - la Marina americana e gran parte della Marina italiana, restano mille abitazioni sfitte per un turismo incapace di decollare e di dare lavoro stabile per tutto l’anno. Da una parte si vogliono sbaraccare le caserme, dall’altra si chiede l’intervento dei soldati per fermare incendiari, piromani e la criminalità organizzata nell’interno. Da una parte si grida per chiudere la fabbrica tedesca di mine di Domusnovas, dall’altra l’amministrazione civica fa quadrato per evitare i licenziamenti degli operai, così come avviene poco distante per l’aeroporto militare di Decimomannu ormai in fase di smobilitazione, mentre protestano le decine di lavoratori che operano nella base. Per non parlare delle navi militari che oggi non arrivano più non solo a La Maddalena, ma soprattutto nel porto di Cagliari declassato da Comando Autonomo Marittimo a base logistica di “serie di B” e dipendente dal Comando di La Spezia. Sino a pochi anni fa per ogni esercitazione e per diversi mesi arrivavano a rotazione decine di unità grigie delle varie Marine della Nato, riversando in città migliaia di marinai che andavano ad affollare i ristoranti e le vie dei rioni storici. Oggi è molto se al molo della Marina militare attracca qualche pattugliatore. Per fortuna dell’economia locale ci sono le navi da crociera che hanno dirottato su Cagliari le tappe cancellate del Nord Africa per i pericoli del terrorismo.


pattuglia italiana in afghanistan

IL NUOVO ESERCITO

In questo quadro confuso e contradditorio, dicevamo, si inserisce il discorso sul Nuovo Esercito, così come sta uscendo nei piani del Ministero della Difesa. Gli obiettivi fissati parlano di riduzioni (in pratica tagli) e di ristrutturazione in ogni settore, dal numero dii uomini, reparti e mezzi, all’utilizzo strategico nei vari campi in Italia e all’estero. Così riaffiorano le voci che, in questa fase di ridimensionamenti e accorpamenti, possa essere tagliata anche la gloriosa Brigata SASSARI. Questo perché il programma di potenziamento della SASSARI che puntava a completare la Brigata con un reggimento di cavalleria corazzata, logistico e di artiglieria, per un totale di quasi cinquemila uomini, è è sospeso a causa delle virulente esternazioni e prese di posizione - di forze minoritarie, ma senz'altro rumorose - componenti del panorama politico sardo, e quindi le risorse previste sono state dirottate verso altre Brigate.


cielo afghano

IL LIBRO DENUNCIA DI SULIG

Quale sarà il futuro dell’Esercito, ma soprattutto quale presente? Cosa pensiamo e cosa vorremmo dai nostri militari in grigioverde? A queste domande risponde il generale giuliano Maurizio Sulig in un interessante libro uscito di recente per le edizioni Eclettica. Il titolo già dice molto a riguardo: “SOLDATI TRA LA POLVERE, il mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se stesso” (156 pagine, 14 euro).
"Mi sono messo a scrivere pensando soprattutto a miei soldati impolverati, di cui ci si ricorda quasi solo quando tornano a casa avvolti in una bandiera: credo che meritino che qualcuno provi a dire cos’è davvero la loro vita e a sottrarli allo stereotipo dell’eroe e del mercenario. E che provi a dirlo ai cittadini di questo assurdo, amato Bel Paese del quale sono al servizio, anche se sembra che di loro non sappia cosa farsene e che fra particolarismi, campanilismi ed egoismi sta smarrendo se stesso", così dice Sulig nell’introduzione, dichiarando subito la filosofia del libro che nasce dal cuore, dall’amore per la divisa e per tutto ciò che essa rappresenta, dallo spirito di patria e dagli ideali che lo hanno spinto a fare questo mestiere di sacrificio e di pericoli.
Ma è anche una riflessione fredda e critica, fatta dal di dentro e quindi da chi conosce bene i problemi della macchina, senza fare sconti a nessuno. Neppure a se stesso. L’ Autore dichiara questi limiti, non si risparmia un’autocritica, ma alla fine cerca di andare oltre per mandare un messaggio ai giovani che già indossano la divisa o che sognano di mettere le stellette. "Entrare nelle Forze Armate - sottolinea in sintesi Sulig - non è solo un modo per trovare un’occupazione sicura in tempi difficili per tutti in ogni settore, ma è sposare un’idea di vita e di condividere ideali comuni e inossidabili che ci giungono proprio dalla nostra storia e dal passato". Senza queste certezze - dice - non c’è presente e non ci sarà futuro.


maurizio sulig a camp arena, la sede del comando del regional command west a herat  

UNA VITA IN GRIGIOVERDE

Maurizio Sulig, triestino, 59 anni, ex ufficiale di artiglieria, ha lasciato l’Esercito dopo quasi quarant’anni di servizio, più della metà passati al comando di reparti, contingenti nazionali e internazionali. In particolare ha trascorso tre anni in operazioni di pace nell’ex Jugoslavia e in Afghanistan, è stato addetto militare in Germania, vicecomandante della Brigata SASSARI e Direttore del Centro Studi sulle Post-Conflict Operations dell’Esercito. Oggi vive a Silandro, in Alto Adige. Un curriculum che parla da solo riguardo alla competenza tecnica e all’esperienza professionale. Se fa una critica, nel suo libro, si può contestare l’opinione, ma non certo il fatto in questione. Le pagine del pamphlet pongono una riflessione a 360 gradi e sono un contributo prezioso sul dibattito in corso riguardo all’ideazione e realizzazione del “Nuovo Modello di Difesa”.
L’aspetto biografico è importante e ovviamente non si può sdoppiare lo scrittore dall’ex ufficiale. Ma lo stesso Sulig sgombra il campo da ogni equivoco sostenendo che nessuno possa pensare che "me ne sono andato nutrendo qualche forma di rancore nei confronti dell’Esercito. Non è così. Ho amato e amo l’Esercito, ho seguito una via in cui ho creduto ed in cui credo ancora molto. Questo libro nasce da alcune cosiderazioni molto semplici. La prima è che, con la sospensione della leva, in un’Italia che è sempre meno Nazione, sono sempre di più le persone che non hanno un’idea chiara dell’Esercito, di cosa l’Italia ne stia facendo, di quali siano i valori ai quali dovrebbe rifarsi un militare per essere un soldato e non solo un portatore sano di uniforme, di cosa significhi scegliere il mestiere delle armi nel XXI secolo", scrive l’ Autore nell’introduzione.
Sulig è passato da un Esercito organizzato in chiave antirussa alle missioni Nato per stabilizzare la pace nei Balcani e per contrastare i talebani che vogliono mantenere l’Afghanistan nel Medioevo più cupo. "Ma quello che non è cambiato - afferma - è la diffusa insofferenza degli italiani verso i loro soldati. Il più delle volte, a dir tanto sopportati, raramente compresi e accettati. A essere giusti - sottolinea - anche il motivo per cui i militari suscitano riprovazione è cambiato: dall’essere contestati in quanto hanno deciso di vestire l’uniforme all’essere contestati in quanto mercenari imperialisti. A ciò si accompagna (senza deflettere dal mantra del 'no a basi, poligoni, esercitazioni') l’invocazione dell’Esercito quale rimedio ad ampio spettro per contrastare la criminalità, arrivando a chiedere persino il ritorno al servizio di leva per sopperire alle carenze delle famiglie e della scuole nell’educazione delle nuove generazioni. Questi atteggiamenti hanno poi come denominatore comune - aggiunge Sulig - il fatto che quando si parla dell’Italia lo si fa come se non fosse una cosa seria e a molti pare impossibile che siano esistiti uomini e donne per cui l’Italia era un ideale che valeva la vita e per cui 'viva l’Italia' furono le ultime parole".


lince in perlustrazione

DEDICATO AI GIOVANI

Per questi autentici eroi Sulig scrive il libro, perché qualcuno provi a ricordare quanto sia costato fare l’Italia e quanto siano costate le libertà che diamo per scontate e di cui purtroppo spesso abusiamo. E dedica il suo lavoro "a quei giovani delle nuove leve intenti a muovere i primi passi e a cercare la propria strada in una vita di cui, come me alla loro età, hanno una visione indefinita e idealizzata". L’ex comandante di missioni in prima linea, non certo il burocrate del Ministero, ha deciso di mettersi al pc per scrivere queste pagine pensando soprattutto a suoi "soldati impolverati" dei quali ci si ricorda quasi "solo quando tornano a casa avvolti in una bandiera; credo che meritino che qualcuno provi a dire cos’è davvero la loro vita, che qualcuno provi a  ridare un volto e una voce e a sottrarli allo stereotipo dell’eroe e del mercenario".
Quello che ne è venuto fuori, dunque, non è un volume di memorie, né un lamento sui bei tempi andati, o un libro rivolto ai militari. E’ un libro per i civili, per coloro che dell’Esercito e dei suoi soldati non hanno conoscenza e anche per coloro che non si sentono attratti dai soldati, ma vogliono cercare di capirli.
E’ anche un ragionamento su cosa significhi oggi fare politica geostrategica con i soldati, dal punto di vista di chi quelle politiche si trova ad essere strumento e una riflessione sulle responsabilità, sul dovere, sul servizio, che può essere letta anche come una lezione di educazione civica. Per questo vale la pena leggerlo con attenzione e, ulteriore pregio, si legge tutto d’un fiato. Sulig affronta molti temi, dalla storia all’attualità, dall’organizzazione alle missioni all’estero, dalla figura del militare nell’immaginario collettivo alla dura realtà dell’avamposto con gli uomini imbiancati dalla polvere. Ma è contro la retorica delle commemorazioni che l’Autore si sofferma, criticando una certa cultura revisionista che, in occasione delle numerose ricorrenze, dà la stura "a pretese controstorie a base di ufficiali sadici e incompetenti, fucilazioni di massa, assalti in punta di baionetta di fantomatici carabinieri, equipaggiamenti inadeguati e poco rispetto per i sacrifici affrontati dai nostri vecchi, i miei nonni fra di loro, per il loro coraggio, la loro disciplina".


villaggio afghano

I FAKE DELLA STORIA

Sulig analizza una serie di episodi evidenziati da questa storiografia “alternativa” che sembrano quei “fake” usciti da internet e diventati notizie vere a furia di essere ripresi e citati senza verifiche. Per esempio impera la leggenda dei carabinieri schierati dietro le truppe mandate all’assalto. A riguardo Sulig replica che "l’Arma contava appena 40 mila uomini a fronte di 5 milioni 500 mila militari mobilitati, impensabile dunque che potessero far paura ai soldati nelle trincee". E’ pure un mito denigratorio quello degli ufficiali al sicuro mentre i soldati andavano a morire: solo la SASSARI ebbe 188 ufficiali caduti combattendo e 359 feriti. Come è una “bufala” la tesi - basata sul minor numero di caduti fra gli Ufficiali in servizio permanente - che vuole gli ufficiali di carriera, grazie a una fantomatica circolare di Cadorna, al sicuro nelle retrovie lasciando agli ufficialetti di complemento i comandi di prima linea: "Basta vedere i numeri per cestinare una tale strana e strampalata affermazione visto che gli ufficiali di carriera furono 32 mila e quelli di complemento 153 mila, compresi i richiamati".


fob columbus, bala mourghab - tiro di controbatteria con i mortai dopo attacco insurgents

LA LEGGENDA NERA DI CAPORETTO

"Oppure - scrive Sulig - prendiamo la leggenda della rotta, della fuga, dello sciopero militare di Caporetto: ma se davvero si trattò di fuga, diserzione in massa, sciopero militare, dopo un ripiegamento di 150 km, come mai dopo due settimane dallo sfondamento quegli stessi veterani stanchi fermavano sul Piave e sul Grappa in combattimenti furiosi e ostinati, gli austroungarici imbaldaziti dal successo? Trovo offensiva per la memoria dei nostri nonni l’immagine di pecore tremebonde mandate a morire da pazzi sadici che fucilano a destra e a sinistra e che alla prima Caporetto disponibile buttano il fucile e se la danno a gambe levate. Continuo a non capire come siano riusciti a fermare gli austriaci dodici giorni dopo".
A proposito di Caporetto, il prossimo ottobre 2017 l’anniversario della battaglia sarà il momento per riesaminare il mito della sconfitta per cui quel toponimo è entrato nella lingua comune come sinonimo di disastro, disfatta, ritirata, etc. Già un importante volume pubblicato dallo storico friulano nonché editore specializzatio sulla Grande Guerra, Paolo Gaspari, ha confutato quella tesi. Il suo monumentale “Le bugie di Caporetto, la fine della memoria dannata” (prefazione di Giorgio Rochat, seconda edizione giugno 2017, pagine 680, con centinaia e di schizzi e mappe inediti) spazza via una storiografia nata nel periodo fascista e sedimentata sino alla fine del secolo scorso, per proporre sulla base di documenti, anche austroungarici, una nuova verità. E cioè che Caporetto non fu un ritirata confusa e disastrosa, ma un ripiegamento inevitabile in quei giorni difficili, che consentì di salvare l’Esercito e di preparare la decisiva riscossa.


in afghanistan un balzo indietro nel tempo

COMANDI SPIETATI

Ancora Sulig si sofferma su un altro mito, riguardante la spietatezza dei nostri Comandi, ed evidenzia che furono circa tremila le sentenze di condanne a morte emanate dai Tribunali di guerra, di cui 750 eseguite. Per quanto concerne le esecuzioni sommarie si stimano 300 casi senza processo, di cui cinque casi appaiono ingiustificati e tre per cui non si doveva procedere. Dati della relazione voluta dal Capo di Stato Maggiore generale Armando Diaz che sono in linea con i numeri dell’Esercito francese (650 fucilazioni), mentre si contano 351 casi tra gli inglesi e “appena” 150 condanne a morte sentenziate nel rigido e disciplinato Esercito imperiale germanico. Riguardo agli ammutinamenti i casi documentati sono cinque e riferiti sostazialmente alle Brigate CATANZARO e RAVENNA, per contro su 112 Divisioni che costituivano l’Esercito francese si contarono 68 ribellioni che interessarono 35 mila uomini.


attività cimic in un villaggio afghano

MISSIONI DI PACE

Dalla storia all’attualità. Sulig racconta le missioni per il mantenimento della pace ("ognuna è diversa") dal di dentro sottolineando che "la missione di chi opera nei capisaldi e negli avamposti ha poco in comune con quella di chi presta servizio nei Comandi". Le stanze dei bottoni sono ben altra cosa, pullulano di Ufficiali Superiori impegnati dai ritmi di briefing, aggiornamenti, gruppi di lavoro, progetti, rapporti, verifiche, riunioni, visite, spesso agitate dall’arrivo di politici e di giornalisti. E’ un mondo in cui dialoghi surreali a base di acronimi incomprensibili e difficili da memorizzare sembrano avere un senso compiuto: "La cosa inquietante che è proprio così". Dall’altra parte c’è il popolo del contigente di supporto con meccanici, tecnici, armieri, esperti di tecnologie, medici, infermieri, magazzinieri, cuochi e lavapiatti che consentono alla macchina di muoversi ogni giorno, linfa vitale per i soldati chiamati a svolgere i quotidiani compiti di perlustrazione, sminamento, vigilanza, scorta e azioni di tutti i tipi su un vasto e pericoloso territorio che si estende tra le basi e gli avamposti nell’intera zona sotto il controllo italiano. Quegli “uomini nella polvere” (a cui si aggiungono gli aviatori su aerei ed elicotteri, i carabinieri impiegati nel servizio di sicurezza e investigazione, i marinai sulle navi) a cui Sulig dedica il libro e molte pagine nelle quali si descrive il duro lavoro tra pericoli di mine, attacchi improvvisi e attentati.


le donne hanno fatto il loro ingresso nelle forze armate 16 anni fa

LE DONNE IN DIVISA

Sono molti gli spunti di riflessione che emergono in appena 156 pagine, ma non possiamo chiudere senza citare il capitolo riguardante le donne: “Penelope va alla guerra”. Sulig ricorda che quando entrò in Accademia alla fine degli anni Settanta parecchie cose potevano sembrargli inverosimili. Il collasso del Patto di Varsavia, il passaggio a Forze Armate professionali, gli Alpini campani ... e le donne nell’Esercito. "Appartengo a una generazione per la cui psicologia la combinazione donne e mestiere delle armi non è semplice da accettare. Oggi faccio outing senza vergogna: non tanto per aver visto con qualche perplessità l’arrivo delle donne nell’Esercito, quanto sul modo in cui veniva proposto e sul come viene gestito. A distanza di 16 anni dall’ingresso nelle Forze Armate - osserva l’ Autore - manca qualsiasi studio organico e sistematico del Ministero della Difesa relativo alla condizione femminile in uniforme. L’iconografia ufficiale le propone carine, sorridenti: non dico delle Camo-Barbie, ma delle versioni meno mascoline di Demi Moore-Soldato Jane sì".
"E’ difficile trovare una fotografia ufficiale che trasmetta la fatica, il sudore, le mani sporche, le unghie con il lutto degli avamposti e si continua a propagandare un’immagine della soldata liscia, carina, patinata, insistendo sulla femminilità e non sulla professionalità. Di molestie e discriminazioni non si parla mai e, visto che non se ne parla, il problema non sussiste. Mi piacerebbe che fosse così, ma visto quello che succede nelle Forze Armate di altri Paesi, mi sembra difficile che non esista il problema nel nostro Esercito. Ci si stupisce e fa notizia, dunque, una donna pilota di elicottero o di blindato o al comando di plotone all’estremo nord dell’area di responsabilità italiana in Afghanistan, nel mezzo del nulla, che ha fatto molto bene il suo lavoro. Perché - continua Sulig - ci siamo forse dimenticati di Maria Plozner Mentil, di Paola del Din e delle altre 18 donne con la medaglia d’Oro al Valor Militare assegnato loro in gran parte alla memoria per il sacrificio nell’ultima guerra e nella Resistenza? A queste indimenticabili eroine vanno aggiunte tre donne soldato impegnate in Afghanistan: nel 2006 a Kabul venne ferita Pamela Rendina, mitragliere di blindato Puma; a Mangan nel 2010 è stata la volta di Maria Cristina Buonacucina, guastatore del Genio, con conseguenze più gravi; e poi il caporal maggiore scelto dei Bersaglieri Monica Contrafatto che nel 2013 a Buji perse la gamba destra per causa di combattimento. Ebbene, la prima è rientrata in servizio, la seconda ha scritto un libro sulla sua lotta per ricominciare a vivere e la terza, transitata nel Ruolo d’Onore, opera a favore di altri feriti e dei loro familiari, partecipando con successo ad attività sportive paraolimpiche (ai giochi di Rio nel 2016 ha vinto una medaglia di bronzo). Quando fra 5-6 anni dovremmo vedere le prime comandanti di battaglione spero che siano loro affidati reparti di linea e non qualche reparto di servizi".


la più evocativa, forse, fra le tante immagini dei nostri soldati in missione

CONTRO LE IPOCRISIE

Maurizio Sulig termina il suo libro con un’invocazione rivolta a tutti affinché si esca dall’atavico equivoco di considerare l’Esercito secondo le convenienze politiche del momento. "O si dice chiaramente che non è altro che un ammortizzatore sociale con 100 mila buste paga, oppure si ritiene che non è ancora arrivato il momento in cui si potrà fare a meno delle Forze Armate, affermando senza vergogna e timidezza per non scontentare i potenti al governo, che la Difesa è una funzione essenziale dello Stato e che come tale va trattata".
Il generale giuliano ha gettato una pietra nel dibattito, di sicuro a qualcuno le sue pungenti parole non piaceranno e neppure le analisi tecniche e storiche, ma è proprio questo lo scopo di scrivere un libro utile. Se non altro da premiare il coraggio di puntare il dito contro l’ipocrisia imperante e contro i luoghi comuni.
                                                                                                                                        CARLO FIGARI

 

*carlo figari, giornalista e scrittore, già vicedirettore del quotidiano “L’Unione Sarda” e docente a contratto nell'Università di Cagliari, è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali "Leopoli, il mistero dell'armata fantasma" (1995), "El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina" (1999), e "Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad oggi e l'avventura di Video on line" (2014). Nel 1998 ha vinto il Premio Saint Vincent per un servizio televisivo dedicato ai désaparecidos sardi in Argentina. Ha svolto il servizio di leva come ufficiale di complemento nella Marina Militare e ha effettuato, come addetto alla Pubblica informazione, una campagna per la protezione del mare a bordo di Nave "Amerigo Vespucci".

 

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