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MAURIZIO SULIG

CHI SONO GLI EROI OGGI?

E’ da un po’ che rimugino sul fatto che, quando si parla dei “nostri” in missione, “EROI” è una definizione ricorrente. Eppure noi non ci sentiamo, loro non si sentono EROI. Dov’è l’inghippo, il busillis? Da dove incominciare? L’ovvio punto di partenza non può essere altro che la definizione di EROE del vocabolario, che ci fornisce:
Eròe s.m. (f.-ina)
1. Nella mitologia greco-romana, figlio nato dall’unione di una divinità con un mortale, e dotato di virtù eccezionali.
2. Chi sa lottare con coraggio e generosità per un ideale I persona di straordinario coraggio, che si sacrifica per un ideale I (est.) uomo illustre, spec. per valore guerriero.
3. Personaggio principale di un romanzo, film e sim.
Scartate per ovvie ragioni la mitologia, le opere letterarie e le arti figurative, si nota come anche ai giorni nostri le qualità che definiscono l’EROE continuino ad essere il coraggio, la generosità, il sacrificio.
A pensarci, in effetti è così: una delle convenzioni culturali che, in ogni società, meglio hanno resistito allo scorrere dei secoli, è proprio quella che pone il coraggio fisico nella fascia più alta dell’ideale classifica delle qualità umane: per migliaia di anni, in società permeate dall’etica del guerriero o comunque dell’uomo forte, capace di procacciare il cibo e difendere la famiglia e la tribù, tale qualità ha spesso goduto di considerazione maggiore di quella accordata alle doti morali o intellettuali. D’altro canto, nei giorni tranquilli che abbiamo la fortuna di vivere – con o senza Al Q’Aeda e le rivoluzioni che stanno attraversando il mondo arabo, i nostri antenati e persino i nostri nonni, abituati ad una media di una guerra ogni 5-10 anni, avrebbero considerato la nostra epoca come rimarchevolmente tranquilla – la sacrosanta aspirazione ad una vita serena e priva di rischi o pericoli porta con sé una diminuzione dell’entusiasmo nei confronti di quanti, coscientemente, accettano ed affrontano quegli stessi rischi e pericoli che, però, vogliamo vengano tenuti ben lontani dalle nostre case.
Così è stato sempre, (alla fine del XVIII secolo Thomas Jordan scriveva che “Our God and Soldier we adore,/In time of danger, not before;/The danger past, both are alike requited/God is forgotten, and the Soldier slighted”) così sempre sarà, ed è in fondo un bene che sia così, in quanto ciò significa che la nostra esistenza è più facile e sicura. E si potrebbe anche arguire, con ragione, che fin troppo spesso l’esaltazione del coraggio e dell’audacia è stata sfruttata a fini propagandistici e nazionalistici.
Ma è altrettanto innegabile che negli ultimi tempi la parola “EROE”, senz’altro una delle più nobili e preziose in ogni linguaggio, abbia subito abusi di ogni genere: un appellativo un tempo riservato a pochi, veramente eccezionali personaggi, è stato frequentemente trasferito a celebrità ad esempio sportive, alcune delle quali, prese come individui, risultano ad un esame più approfondito di spessore morale ed intellettuale francamente ridotto. Per non parlare poi dei 10 “eroi” (maddechèaò, come si dice a Londra) dello spot dell’ “Isola dei Penosi” che sta andando in onda in questi giorni. E questo, mi sia consentito, è francamente deprimente: una parola come “EROE” meriterebbe di essere rispettata come un bene raro e prezioso.
Ma permettetemi ancora un’osservazione in merito al coraggio. Ci sono due tipi di coraggio, quello fisico e quello morale. Il primo è, sostanzialmente, uno stato emotivo che consente ad una persona di affrontare attività intrinsecamente rischiose, quali ad esempio gli sport “estremi”. Il secondo è invece un atteggiamento meno appariscente, più posato, che porta ad accettare di mettere in gioco carriera, futuro, tranquillità, felicità per riaffermare o per fare quello che si ritiene giusto. Personalmente, ho memoria anche diretta di persone di indubbio e spiccato coraggio fisico che però mancavano di coraggio morale; analogamente, ho conosciuto persone di grande coraggio morale che erano alquanto riluttanti a cimentarsi in sport estremi o in attività che comportassero pericoli fisici. Però posso dire di non aver mai conosciuto una persona dotata di vero coraggio morale che non fosse pronta, qualora le circostanze lo richiedessero, ad affrontare il pericolo. Il coraggio morale è forse più difficile da trovare, ma è la materia prima di cui sono fatti i veri eroi.
E, di questa materia prima, la storia della Brigata “SASSARI” non manca: 6 Ordini Militari di Savoia, 9 Medaglie d’Oro, 405 Medaglie d’Argento, 551 Medaglie di Bronzo al Valore Militare, 3,819 caduti, 9,104 feriti, 4 Citazioni sul Bollettino di Guerra del Comando Supremo, 2 Ordini Militari di Savoia e 4 Medaglie d’Oro al Valore Militare alle Bandiere dei Reggimenti della Brigata parlano da soli.
Non è mia intenzione mettermi qui a tracciare il “Diario Storico” della Brigata, che la Sardegna volle costituita interamente di Sardi, facendone così un pezzo di Sardegna trasferito al Fronte: sarebbe troppo lungo, sicuramente un po’ noioso, certamente (venendo da un esemplare di pura razza friulveneta), anche fuori luogo.
Quindi, anche considerato che gli Eserciti sono fatti di uomini, proverò a parlarvi di alcuni di loro: cominciamo quindi con le 9 Medaglie d’Oro al Valore Militare, fra le quali troviamo 3 Sardi (Ferdinando PODDA da Loceri, Giuseppe PINTUS da Assemini e Raimondo SCINTU da Guasila, l’unico non “alla Memoria”), 2 Comandanti della Brigata, uno piemontese e l’altro ligure, 1 Comandante di Reggimento, 2 Comandanti di Compagnia ed un “Irredento”, come si diceva allora, il S.Ten. Guido BRUNNER da Trieste. La vita e la morte di ciascuno di essi meriterebbero una specifica conferenza, ma voglio soffermarmi su 3 punti che, a mio vedere, sono meritevoli di riflessione:
1. la Medaglia d’Oro al Valor Militare è stata istituita nell’anno 1800 da Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. Da allora, a tutto il 2011, è stata concessa 2,183 volte in 211 anni. Facciamo rapidamente un conto di quanti soldati abbiano servito da allora nelle Forze Armate (mettendo in conto anche 9 Guerre), e potremo farci una pallida idea dell’eccezionalità del comportamento di quanti ne sono stati insigniti;
2. Guido BRUNNER, da Trieste, quindi – all’epoca – cittadino austriaco. Di sentimenti italiani, allo scoppio della Guerra diserta dall’Imperiale e Regio Esercito Austro-Ungarico e si arruola nell’Esercito Italiano, chiedendo di poter essere impiegato in prima linea. Come Cesare Battisti (quello vero, non quello che sta in Brasile a fare il perseguitato politico…) oltre ai rischi intrinseci del combattimento accetta consapevolmente anche quello della condanna a morte per alto tradimento in caso di cattura (cadrà combattendo nel 1916 sull’Altipiano di Asiago): se questo non è coraggio morale…;
3. Caporale Maggiore Raimondo SCINTU, 151° rgt. f., da Guasila, altezza cm 157. Verrà decorato di Medaglia d’Oro nel 1918 per aver catturato da solo, benché ferito, 47 austriaci. Ma mi piace ricordare qui un episodio meno noto: nel 1917, notando che, nel corso di una violenta preparazione di artiglieria austriaca, il fratello più giovane appena giunto in linea mostrava qualche segno di minore serenità, pensò bene di rincuorarlo con poche toccanti semplici parole: “Ricordati che ti chiami Scintu e non devi disonorare il nome di famiglia!” (chissà come lo avrà amato il fratellino…).
Ma la guerra è più che momenti di valore o di terrore o di coraggio. La guerra è fatta di fatica, di logorio, di erosione continua delle riserve di forza interiore dei soldati. Alcuni crollano, cedono, e non se ne può fare loro una colpa. Altri no. Non tutti sono valorosi paladini senza macchia e senza paura: ci sono e c’erano, in ogni Esercito in ogni tempo e sotto ogni Bandiera buoni, cattivi, belli, brutti, egoisti, pietosi, brutali, delicati, forti, deboli…
Ma mi rendo conto che sto divagando.
Quindi, a questo punto è arrivato il momento di provare a domandarci come ci immaginiamo un “EROE”? Anche nel 2012 penso che, in materia, Francesco Guccini abbia ragione: “nella fantasia, gli eroi son tutti giovani e belli”. Ed effettivamente l’iconografia ufficiale, da Gerard (pittore di corte di Napoleone) all’Ufficio Pubblica Informazione dell’Esercito continua a trasmettere quest’immagine, e i resoconti che passano in televisione trasmettono immagini innegabilmente accattivanti di blindati in movimento, di elicotteri in volo, di interviste realizzate (e non potrebbe essere altrimenti) all’interno di qualche base, e anche quelle tristi ma solenni del lento, commovente rituale delle esequie di stato.
Ma non è questo quello che avrà sentito, percepito chi era là fuori. Chi era là fuori avrà visto la polvere, i radi cespugli, gli elicotteri che arrivano bassi sollevando nuvole di sabbia che si infila dappertutto (ho già detto e confermo che, personalmente, ho scoperto la presenza, nella mia anatomia, di angoli dove si può infilare della polvere di cui non immaginavo l’esistenza). Avrà scrutato il cielo in attesa del CH-47 che porta i rifornimenti o riporta alla base il plotone da qualche posto dal nome impronunciabile. Potrebbe aver sentito nell’aria l’odore pungente della polvere da sparo e nel petto il cuore che pompa a 1,000, se si è trovato in uno scontro. Poi, tornato nella sua FOB sentirà la puzza del suo sudore e quello della biancheria mal lavata di un’intera compagnia. Quando avrà la gola secca (e capita spesso) e la bocca che sa non diciamo di cosa, si laverà i denti ad un lavatoio campale con dell’acqua che sa di cloro o, meglio, con del cloro che sa di acqua.
Avrà la pelle irritata dagli indumenti che non si toglie da 3 giorni, e i piedi bollenti e gonfi perché sempre da 3 giorni non si toglie gli scarponi, un cerchio alla testa a causa dell’elmetto, le spalle che fanno male perché il giubbotto antiproiettile ti salva la vita ma pesa pur sempre 15 chili, e un ginocchio dolorante perché scendendo dal “LINCE” lo ha sbattuto contro la portiera, e vedrà come la somma di tutte le beatitudini la prospettiva di farsi 50 metri fino alle docce, sperando che sia rimasta un po’ d’acqua calda.
E chissà che stasera magari le linee funzionano e la rete non è sovraccarica, così si riesce a chiamare casa, anche se da loro sono le 8 di sera e dove sei tu è già quasi mezzanotte, e Dio sa se non avresti voglia di buttarti sulla branda. E domani si ricomincia, anche se nella tenda adesso magari c’è una branda vuota.
E, a questo punto, possiamo provare a dare una definizione degli “EROI” di oggi:
“UOMINI E DONNE NORMALI, CHE CONTINUANO A COMPIERE COSCIENZIOSAMENTE IL PROPRIO DOVERE, FACENDO COSE CHE NON SONO NORMALI IN AMBIENTI E SITUAZIONI CHE SONO ANCOR MENO NORMALI”.
Se siete arrivati fin qui e non mi avete ricoperto di insulti, grazie.
                                                                                        MAURIZIO SULIG
Giovedì 12 Gennaio 2012 

(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)

 


Paesaggio afghano

 

AVEVO SEMPRE DESIDERATO VEDERE L'AFGHANISTAN

Mercoledì 11 Gennaio 2012 - Avevo sempre desiderato vedere, almeno una volta nella vita, l'Afghanistan. Forse erano state le troppe letture di Kipling e della North-West Frontier, o i film in bianco e nero dei Lancieri del Bengala, o semplicemente quest'ansia di andare oltre, di vedere posti strani e magari un po' (a volte un po' tanto) balordi, di staccarmi dal mondo ordinato del caffè-barba-doccia-lavoro-ape con gli amici eccetera, che da sempre ogni tanto mi prende. E adesso c'ero finalmente arrivato. Un mondo color ocra, dove una polvere fina come il talco ti si infila in posti della tua anatomia che non immaginavi nemmeno ci potessero essere. O lande di pietra nera, lucida, tagliente, che mi è venuto immediatamente di ribattezzare "La Terra di Mordor". Chagcharan che sembra un villaggio Hopi dell'Arizona, e quasi ti immagini di sentire un lontano rullar di tamburi. Bala Mourghab, il Castello sul Murghab, che sembra la Missione di El Alamo, e Moqur che sembra Fort Saganne, sabbia e asta della bandiera e 35 ragazzi americani color della sabbia anche loro, e Gary Cooper - Beau Geste non sarebbe fuori posto. E lo sfregio nella montagna dove una volta c’erano i Buddha di Bamyan. E i Pastori nomadi Kuchi con i loro dromedari, e le loro donne invecchiate anzi tempo come tutto in questa terra primordiale, ma con il portamento di regine. E le montagne che qui non ti proteggono, ma le senti cattive, ostili. Ma anche il verde brillante dei campi la dove arriva l'acqua, e i colori dei papaveri (duro credere che tanta bellezza si abbini a tanto veleno), e le bambine che nei loro vestiti colorati e intessuti d'oro sembrano regine, e davanti a loro invece c'è un destino che le farà vecchie a 30 anni. E i vecchi senza tempo, Bism'illah Ul Rahman Ul Rahim, dritti come spade o piegati in due dall'artrite, che sembrano Patriarchi dell'Antico Testamento, e tu pensi che potresti essere Sir Bindon Blood della Malakand Field Force del 1897, finchè non suona la suoneria dell'ultimo successo di Bollywood e uno di loro comincia un dialogo a raffica di suoni aspirati e scatarranti in pashto...e i ragazzi che escono ogni mattina (gesti sicuri, concentrati,facce barbute, serie, occhi attenti, e poi quella volta che la merda schizza sul ventilatore e per 5 minuti che sembrano eterni tutto è un casino, una volta di più scopri che quello che tiene insieme tutti e resta calmo e sa cosa fare quasi mai è quello coi muscoli pompati e pieno di tatuaggi, bensì quello taciturno, poco appariscente, quello che prima di parlare ce ne vuole). E litri di the bevuti con gli anziani per conquistarti la loro fiducia, e lo scoramento che ti prende quando ti accorgi che del milione di cose che ci sarebbero da fare, dovrai selezionare quelle tre o quattro che proprio non possono aspettare di essere fatte, e sarà tanto se riuscirai a finirne una. E gli insorti che accettano la riconciliazione, e depongono le armi, e buttatemi pure la croce addosso ma li guardi e ti senti più vicino a loro che al rappresentate del governo col suo kameez immacolato e la barba profumata e lo sguardo sfuggente. E il piccolo capo villaggio che per dimostrarti la sua stima e la sua gratitudine perché …beh lasciamo perdere, non siamo qui a dirci quanto siamo bravi e belli…dicevo che per dimostrarti la sua gratitudine e la sua stima ti prende per manina e ti porta in giro per il villaggio…E tu che quando scende la sera guardi l'orizzonte e, dai ammettilo, non riesci a non sorridere dentro di te quando il Capo Sala Operativa ti dice che non ci sono novità, perché vuol dire che tutto è andato bene, anche oggi…E le letterine dei bambini, e degli studenti che ti mandano gli auguri per Natale, e le parole che ricorrono sono EROI e ORGOGLIO, e ti domandi se poi lo sanno, a casa, che è solo nella fantasia, dove hai l’immagine sua, che gli eroi son tutti giovani e belli? Perché il loro eroe avrà i piedi gonfi che puzzano perché son due giorni che non si leva gli scarponi, dorme in una tenda con altri 7 irsuti anacoreti fra calzini che asciugano e fornelletti che scaldano l’irrinunciabile moka, e si sarà lavato i denti con del cloro che sa di acqua, e adesso che è tornato vede come la somma di tutte le beatitudini potersi fare 50 metri fino alle docce, sperando che sia rimasto un filo d’acqua calda, e poi magari stasera la connessione e buona e si riesce a far due chiacchiere con …E poi scende di colpo la notte. E nel buio di un cielo diverso le stelle sono milioni, e vicine, e ti vien voglia di sdraiarti per terra e fartele piovere addosso, ma è chiaro che non puoi, però..però dai, ammettilo che te ne sei scelta una anche tu, e che qualche volta le parli, e le confidi quel che ti passa in testa, e magari anche quel che ti pesa sul cuore. E stanotte la sirena non ha chiamato la MEDEVAC, e “ci sono novità, soldato?” “No, solo un signore vestito di rosso su una slitta è passato, e gli ho detto “vai pure tranquillo, Babbo, è tutto calmo stanotte”, ed è stato solo un sogno e non sai se sentirti un po’ stupido o accettare che anche se hai lo spirito di un subalterno nel corpaccio di un generale in pensione, non è poi così brutto essere ancora capaci di sognare, e torni a guardare le stelle, e torni a sognare, e scopri che anche tu ti sei innamorato di questa terra che detesti.

                                                                                                                MAURIZIO SULIG

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Uno scorcio di un tipico agglomerato abitativo afghano.

 

VIVERE LA MISSIONE

Sabato 7 Gennaio 2012 - Alcune riflessioni strettamente personali rivolte @ tutti quelli che, ogni volta che arriva notizia di uno scontro a fuoco in Afghanistan, scrivono "bastaaaaaa" o "ma perchè non ve ne tornate a casaaaaaaa": so bene che il mestiere più difficile, nelle Forze Armate, è quello di moglie o fidanzata (adesso anche di marito/fidanzato). Rimanere a casa, mandare avanti la famiglia, "keep the home fires burning", come diceva una canzone della 1a Guerra Mondiale, e vivere con il costante pensiero ai nostri cari in operazioni...non è una vita normale, e per questo non vi sarà mai reso abbastanza merito.
Ma, come ho avuto già modo dire, chi sta li a BMG, o a Farah, o in altre contrade balorde, non ha bisogno di sentire l'angoscia, lo strillo. Ha bisogno di pensare - anche se sa che non è così - che a casa tutto va bene, che tutti sono sereni. E non dipende da loro tornarsene a casa piuttosto che partire, alla faccia di tutte le leggende metropolitane e di coloro che li dipingono come dei mercenari o dei poveracci alla ricerca di qualche soldo in più per pagare il mutuo. E un'ultima osservazione: quando tutto va bene, siamo orgogliosi di loro. Ed è giusto che sia così.
Ma dobbiamo imparare a convivere con l'idea che la loro normalità è fare cose che non sono normali in condizioni meno normali ancora, è un mestiere intrinsecamente pericoloso...altrimenti, di cosa ci sarebbe di cui essere orgogliosi? Ciò detto: posso solo dire che anche io sono, sempre, vicino a chi vive ore di angoscia finché la situazione non si chiarisce.
                                                                                                                MAURIZIO SULIG


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Un altro scorcio di un tipico agglomerato abitativo.

 

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IL MUSEO DEL 3°

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