di CARLO FIGARI*

Il 2018 segnerà un cambiamento degli indirizzi strategici militari nella visione della politica estera italiana legati ai nuovi scenari sullo scacchiere internazionale e alle scelte del futuro Parlamento, in realtà già delineate dal governo uscente. In sostanza si possono riassumere così: più Africa, meno Medio Oriente e Afghanistan, possibile rimodulazione degli impieghi di uomini e mezzi per bilanciare le nuove emergenze. Oggi l’Italia partecipa a 31 missioni, dislocate in 21 Paesi, per un totale di 6700 mila uomini.
Ma il vero nodo in eredità al futuro esecutivo riguarda la copertura complessiva delle missioni. Già approvato l’attuale bilancio con un impegno di spesa che assegna finanziamenti sino alla fine di settembre, nel frattempo il nuovo governo dovrà trovare le risorse per completare l’anno. E non sarà cosa da poco visto che mancano 490 milioni su un miliardo e mezzo del totale previsto: una somma, dunque, sostanziosa da reperire nelle maglie della prossima programmazione finanziaria. Altrimenti, per non perdere quel prestigio faticosamente riconquistato nei tavoli che contano e la credibilità acquisita dal governo Gentiloni nel consesso internazionale europeo e della Nato, saremo costretti a “tagliare” oppure - come probabile - a rivedere le diverse missioni già in atto ridistribuendo risorse, uomini e mezzi. Come ha illustrato la ministra Roberta Pinotti riferendo alla commissione Difesa di Camera e Senato il 15 gennaio, dichiarazioni ribadite in un’intervista a Repubblica e in Tv.

i piani della difesa

la ministra della difesa roberta pinotti a colloquio con il procuratore capo di herat, maria bashir, nel 2014

"Le nuove missioni militari italiane in Africa verranno bilanciate dal progressivo ritiro dei soldati impiegati in Iraq e in Afghanistan, cioè dalle due missioni più costose del 2017. La recente sconfitta dello Stato Islamico in Iraq - ha spiegato la ministra - permetterà di ridurre i 200 soldati schierati intorno alla diga irachena di Mosul, di riportare uomini e mezzi a Erbil, nel Kurdistan iracheno, e di rivedere le dimensioni del gruppo di ricognizione in Kuwait". Pinotti ha aggiunto che il governo italiano chiederà di ridurre le dimensioni del suo contingente NATO in Afghanistan occidentale (da 900 a 700 unità).
Da queste dichiarazioni e dal documento approvato dal governo Gentiloni in extremis, il 28 dicembre, poco prima di recarsi al Quirinale come ultimo atto della legislatura appena conclusa, si capisce che l’Italia voglia continuare a svolgere un ruolo importante nell’attuale panorama internazionale. Tuttavia il nostro Paese dovrà fare i conti con i fondi disponibili per la Difesa e soprattutto con le scelte di impegno sui fronti che comunque ci interessano più direttamente. E in particolare, oltre alla guerra al terrorismo fondamentalista per cui non bisogna mai abbassare la guardia in casa (dove è in corso la missione “Strade sicure”) e all’estero, l’Italia dovrà focalizzare le sue risorse finanziare, i suoi uomini e mezzi, per gestire il problema dei flussi migratori e per muoversi in uno scenario geopolitico più vicino ai nostri confini, quali il Mediterraneo occidentale e il Nord Africa con le nuove missioni in Tunisia, in Niger e nel Sahel occidentale.
Oltre prevedere il rafforzamento delle operazioni in atto per terra e mare in Libia, Paese di transito nelle rotte migratorie e crocevia dei traffici trans-sahariani. Ma sul budget economico per ora continueranno a pesare anche le missioni, promosse già nel 2017, in Medio Oriente e Asia.

la brigata SASSARI di nuovo in azione

una sassarina del "female engagement team" (fet) al lavoro con donne afghane e i loro bimbi durante la missione isaf del 2014

In questo quadro compare la presenza della nostra Brigata SASSARI chiamata a svolgere un importante ruolo con tutte le sue componenti su tre scenari diversi. In totale si tratta di circa mille uomini dei due reggimenti di Cagliari e Sassari, dei Genieri di Macomer e dei Bersaglieri di Teulada, oltre ovviamente il Comando Brigata, divisi tra Herat in Afghanistan, Mosul in Iraq, e Misurata in Libia.
Ma veniamo in dettaglio a riassumere i Piani dell’Italia per il prossimo anno riferenti alle missioni all’estero, tecnicamente definite - come si sa - per il “mantenimento della pace” (peacekeeping) perché la Costituzione (articolo 11) vieta l’impiego delle armi per fini offensivi, mentre <<promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a garantire la pace e la giustizia tra le Nazioni>>. Così, dal lontano 1982 con la famosa missione “Italcon”, guidata dal generale Franco Angioni in Libano, che rappresentò il ritorno del nostro Esercito all’estero dopo la Seconda guerra mondiale, gli italiani in divisa sono chiamati a svolgere operazioni in ogni teatro del mondo.

le regole d’ingaggio

missione isaf 2012 - 30 insorgenti consegnano armi e munizioni e riconoscono governo e istituzioni dell'Afghanistan

Il limite di queste missioni è insito proprio nella definizione “di pace” del dettato costituzionale e cioè che i nostri contingenti vengono inviati per contribuire alla ricostruzione, alla sicurezza di luoghi sensibili e alla formazione di nuove forze armate e di polizia di quei Paesi. I militari italiani, come riconoscono tutti i comandi alleati, sono altamente specializzati e dotati di mezzi tecnologici adeguati, in grado di svolgere qualsiasi compito al meglio, anche grazie alle loro qualità umane che favoriscono il lavoro e le relazioni nei territori anche più ostili per cultura e religione. I nostri militari devono rispettare le rigide procedure delle cosiddette “regole di ingaggio” (ROE) che autorizzano l'uso della forza durante le operazioni militari e non limitano il diritto naturale inviolabile alla legittima difesa.
Si può immaginare lo stato d’animo e la reazione di un nostro soldato di guardia a un posto avanzato nel deserto afghano, isolato e lontano dalla base, preso di mira da una banda di fondamentalisti. Oppure pensare a come debba agire un pilota in azione di pattugliamento o trasporto aereo che scopra dall’alto un’operazione di terroristi. E’ capitato diverse volte in quegli scenari di Iraq e soprattutto di Afghanistan dove i nostri militari si sono comportati reagendo molto bene secondo le regole d’ingaggio, ma rischiando la loro incolumità e spesso la vita.
Alcuni di questi episodi non sono mai stati resi noti nella pienezza dei fatti mentre si è saputo, dai racconti di reduci, di veri e propri combattimenti “declassati” a scaramucce sui media da una comunicazione ovviamente edulcorata. Non ci si deve meravigliare per i limiti imposti alla stampa e una censura codificata dal tempo della prima guerra in Iraq (1991), da quando il lavoro dei giornalisti è diventato sempre più difficile e pericoloso, necessariamente legato - almeno per la maggior parte dei reporter italiani - alle norme degli inviati “embedded”, cioè sempre al seguito dei militari da cui sono protetti, ma anche “disciplinati” dagli ufficiali addetti alle pubbliche relazioni. In mancanza di alternative per muoversi in sicurezza su quei territori possiamo solo prenderne atto affinando le arti del buon giornalismo e curando il controllo delle fonti per poter continuare a fare informazione corretta.
Accade nell’epoca dei social network dove tutti possono comunicare tutto e da ogni angolo del mondo con un semplice telefonino. E le stesse Forze Armate e il Ministero della Difesa, prima con grande riluttanza e poi con sempre maggior sicurezza, sono sbarcate sul web stabilendo un contatto diretto con gli utenti finali delle notizie. E' stata, dunque, compresa l’impossibilità di nascondere gli eventi a lungo ed essere consapevoli che prima o poi qualsiasi notizia verrà alla luce. Il problema è la tempestività e la verifica dei fatti, più complessi da accertare a distanza di tempo e il rischio delle fake news usate spesso come armi improprie e, spesso, più pericolose dei missili.

il documento del governo gentiloni

l'emiciclo della camera dei deputati (courtesy www.camera.it - foto: umberto battaglia)

Chiusa parentesi riguardo all’essenza delle missioni di pace, alle regole d’ingaggio e alla corretta informazione, torniamo alle decisioni del governo uscente. A delineare le nuove priorità c’è la “deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell’Italia a missioni internazionali da avviare nel 2018”. Questo documento è stato adottato dal governo il 28 dicembre e ha ottenuto il via libera della Camera (dopo il sì del Senato) con il voto in aula il 17 gennaio. È una prassi che il Parlamento approvi il piano del governo sulle missioni militari, quindi non ci si aspettava alcuna sorpresa. Larghissima maggioranza a favore, con l’appoggio di Forza Italia e Fratelli d’Italia, contro solo M5S e Liberi e Uguali. Questa votazione (nell’aula di Montecitorio incredibilmente vuota per l’importanza dell’argomento) fa capire quali saranno le posizioni nel futuro Parlamento, chiunque andrà alla guida, ed è possibile ipotizzare lo sviluppo del dibattito riguardante l’impegno militare dell’Italia.

la nuova missione in niger

fort madama costruito negli anni '30 dai francesi al confine tra niger e libia meridionale, allora colonia italiana. in questo sito sorgerà la nostra base

Come detto, ci sarà sempre più Africa e meno Medio Oriente e Afghanistan. Le nuove missioni militari saranno concentrate in Niger e Tunisia, oltre ad un rafforzamento dell’impegno in Libia: questa scelta evidenzia come le priorità della sicurezza italiana siano oggi legate alla lotta al traffico di persone e alla diffusione del jihadismo. Nel documento approvato dal governo si prevede anche una riduzione dell’impegno militare in Medio Oriente, in particolare in Iraq e in Afghanistan, che dovrebbe bilanciare l’aumento della presenza in Africa senza far crescere complessivamente il numero dei soldati impegnati sul campo.
L’ultima missione varata dal governo e in piena attuazione è quella in Niger, dove sono impiegati 120 uomini che diventeranno 470 nel giro di pochi mesi con il compito di addestrare le truppe di polizia locale preposte al controllo del territorio.
Il contingente italiano non opererà però solo in Niger, ma anche negli altri Paesi dell’area che condividono con il governo nigerino gli stessi problemi relativi al traffico di esseri umani e alla presenza di gruppi jihadisti: quindi Mauritania, Nigeria e Benin. La base delle operazioni italiane sarà un ex fortino della Legione straniera a Madama, al confine con la Libia meridionale, una zona centrale per controllare il traffico di esseri umani che coinvolge i migranti che partono dalla Libia per raggiungere le coste italiane. L’Italia non sarà l’unica forza straniera nell’area: qui operano da anni soldati di diversi Paesi europei e non, con una netta prevalenza dei francesi. La missione in Niger è anche la seconda più costosa approvata dal governo: 30 milioni di euro.

in Libia a terra e per mare

 missione nato "sea guardian": il cacciatorepediniere "andra doria" (D553) impegnato nella sorveglianza del mediterraneo meridionale

Ma è la missione “Ippocrate” in Libia, in assoluto la più costosa e complessa  (35 milioni di euro), che vede le nostre Forze Armate impegnate a terra e in mare. L’interesse italiano verso la sponda sud del Mediterraneo non sorprende, visto che la pacificazione della Libia è diventata da tempo la priorità della politica estera e di sicurezza italiana. La nuova missione in realtà è la riconfigurazione di due missioni già esistenti, che verranno potenziate. Con la prima, iniziata nel settembre 2016, fu creato un ospedale da campo nella città libica di Misurata (la cosiddetta “Operazione Ippocrate”), mentre con la seconda, si è avviato l’addestramento della Guardia costiera libica per controllare i flussi migratori nel Mediterraneo.
In generale l’Italia continuerà a sostenere il governo di unità nazionale guidato dal primo ministro Fayez al Serraj, che però continua a essere molto debole e a controllare solo una piccola parte del territorio libico. Sostanzialmente rispetto al 2017 le forze in campo aumenteranno di 100 unità mentre i compiti andranno ben oltre il supporto sanitario. Riguarderanno anche «formazione e addestramento», «supporto per il ripristino delle infrastrutture» e «ricognizioni in territorio libico».

in tunisia

La terza nuova missione si svolgerà in Tunisia nell’ambito delle attività per la sicurezza della NATO. I soldati italiani, che saranno 60, dovranno sviluppare le capacità dei tunisini di condurre operazioni interforze: è un obiettivo fondamentale per un Paese che sta impiegando sempre più spesso i militari a fianco delle forze di polizia e della Guardia nazionale per controllare le frontiere e contrastare il terrorismo. La missione in Tunisia, richiesta alla NATO dallo stesso governo tunisino, costerà poco meno di 5 milioni di euro.

le altre missioni

 missione "prima parthica in iraq: istruttore italiano impegnato nell'addestramento di militari della coalizione anti isis

Le nuove missioni italiane in Africa verranno bilanciate dal progressivo ritiro dei soldati schierati in Iraq e in Afghanistan, cioè dalle due missioni più costose del 2017. La recente sconfitta dello Stato Islamico in Iraq - come ha dichiarato la ministra della Difesa Roberta Pinotti - permetterà di ridurre i 200 soldati schierati intorno alla diga irachena di Mosul, di riportare uomini e mezzi a Erbil, nel Kurdistan iracheno, e di rivedere le dimensioni del gruppo di ricognizione in Kuwait. Pinotti ha aggiunto che il governo italiano chiederà di ridurre le dimensioni del suo contingente NATO in Afghanistan occidentale.
Il 15 gennaio la ministra, parlando alle commissioni riunite Difesa ed Esteri di Senato e Camera ha presentato il progetto del governo spiegando che si è deciso di «rimodulare l’impegno nelle aree di crisi geograficamente più vicine e che hanno impatti più immediati rispetto ai nostri interessi strategici» e in questo senso il Sahel - ha aggiunto -, rappresenta «una regione di preminente valore strategico per l’Italia».
E infatti a ben vedere nel futuro dell’Italia non c’è solo il Niger. Ma ben altri sette Paesi, alcuni dei quali sono partner di lunga data come Libia, Egitto, Gibuti e Somalia, mentre altri sono vere e proprie new entry:  Sahara occidentale, Tunisia, Repubblica centrafricana e Niger appunto.
Ma non solo. Ne è un esempio la conferma delle operazioni di pattugliamento aereo volute dalla Nato in Islanda (130 militari) e la presenza di 120 militari in Estonia.

libano, kosovo, operazioni navali e aeree

 missione unifil:: 20 luglio 2016, il comandante del comando operativo di vertice interforze (coi), ammiraglio giuseppe cavo dragone, sulla blue line

Il governo ha rinnovato anche le missioni già in corso nel 2017. È stata rifinanziata la partecipazione alla missione ONU in Libano (Unifil), e quella Nato in Kosovo, dove l’Italia sta impiegando mezzo migliaio di militari. Sono state riconfermate le missioni navali per il contrasto ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo: l’Italiana “Mare sicuro” e l’europea “Sophia”, rispettivamente con 600 e 570 uomini.
Nel 2018 l’Italia parteciperà anche più intensamente alla cosiddetta “Air policing” della NATO, cioè quell’attività che ha l’obiettivo di preservare l’integrità dello spazio aereo dell’Alleanza Atlantica: impiegherà quattro caccia Eurofighter Typhoon dell’Aeronautica militare in Estonia (per un costo di circa 10 milioni di euro) e altri quattro in Islanda (per un costo di 2 milioni di euro).
Il governo italiano ha approvato infine due nuove piccole missioni – una in Repubblica centrafricana e l’altra nel Sahara occidentale – e ha rifinanziato gli impegni già presi in Egitto, Somalia e Gibuti.

tutti i numeri: 6700 uomini in campo

 missione europea eutm somalia: i bersaglieri del glorioso TERZO hanno garantito la sicurezza interna della base e di tutto il personale eutm

L’Italia, come detto, con circa 6.700 uomini è attualmente presente in 31 missioni dislocate in 21 Paesi. Dall’Afghanistan (900 unità) al Kosovo (550), dal Libano (1090) alla Somalia (115), dall’Iraq (700) alla Libia (300), Gibuti (90) Egitto (75) Altre 7.200 unità partecipano, invece, all’operazione «Strade sicure» sul nostro territorio, presidiando siti e obiettivi sensibili, dando una mano significativa alle forze di polizia nell’opera di prevenzione anti-terrorismo.

i costi: un miliardo e mezzo per il 2018

Il ministero dell’Economia, esaminata la richiesta del governo, ha stabilito che tutti gli impegni non andranno oltre la fine di settembre perché le risorse disponibili sull’apposito Fondo non sono sufficienti alla copertura dell’intero anno solare. Il Mef ha scritto anche che il nuovo quadro costerà 1.505 milioni di euro, in aumento rispetto ai 1.427 del 2017, proprio a causa delle nuove missioni che insieme agli impegni NATO faranno aumentare la base annua di 125 milioni di euro.
Il ministero ha spiegato anche che il Fondo missioni aveva stanziato 995,7 milioni più i rimborsi ONU versati e non riassegnati pari a 17,7 milioni. Per questo, hanno notato i contabili del ministero, «occorrerà reperire antro il 30 dicembre, con un apposito provvedimento normativo, ulteriori 491 milioni di euro, salvo non si decida di ridurre gli oneri delle missioni».
Ma quanto costano le nuove missioni? Nel totale circa 83 milioni. In dettaglio l’intero dispositivo libico raggiungerà quasi i 35 milioni di euro, quello nigerino 30 milioni, i 60 uomini in Tunisia costeranno 4,9 milioni, mentre Marocco e Repubblica centroafricana assorbiranno complessivamente 644 mila euro. Infine le operazioni Nato tra Islanda e Estonia costeranno in tutto 12 milioni.
A ben vedere una polpetta avvelenata per il futuro esecutivo che dovrà trovare subito 491 milioni per chiudere il 2018.
Come si vede le alternative economiche sono poche: tagliare drasticamente qualche missione, cosa poco probabile per gli impegni presi e la credibilità dell’Italia; oppure - come nelle dichiarazioni della ministra Pinotti - ridistribuire l’impegno e i fondi tra le varie operazioni in atto.
                                                                                                                                        CARLO FIGARI

*carlo figari, giornalista e scrittore, già vicedirettore del quotidiano “L’Unione Sarda” e docente a contratto nell'Università di Cagliari, è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali "Leopoli, il mistero dell'armata fantasma" (1995), "El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina" (1999), e "Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad oggi e l'avventura di Video on line" (2014). Nel 1998 ha vinto il Premio Saint Vincent per un servizio televisivo dedicato ai désaparecidos sardi in Argentina. Ha svolto il servizio di leva come ufficiale di complemento nella Marina Militare e ha effettuato, come addetto alla Pubblica informazione, una campagna per la protezione del mare a bordo di Nave "Amerigo Vespucci".

 

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